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Mi piace pensare alle parole come a strumenti magici, perché capaci di plasmare la cultura, trasformare il modo di pensare comune e cambiare in meglio il mondo, rendendolo più rispettoso e accogliente.

Per questo, promuovere un linguaggio inclusivo è importante, specialmente per i brand, che rivolgono i propri messaggi a un pubblico ampio e diversificato e hanno quindi maggiori opportunità per fare la differenza.

In questo articolo, vediamo come adottare una comunicazione di brand inclusiva, con esempi e consigli pratici.

Il ruolo della comunicazione inclusiva di brand

Che cos’è la comunicazione inclusiva?

La comunicazione inclusiva è un approccio intenzionale e consapevole che punta a valorizzare e rappresentare le diverse identità presenti nel proprio pubblico.

Non si tratta solo di evitare parole offensive, concetti discriminanti e stereotipi, ma anche di adottare un linguaggio che favorisca l’ascolto, l’accoglienza e il rispetto reciproco tra persone con diversi background, orientamenti sessuali, identità di genere, etnie, abilità e altre caratteristiche personali.

Al centro della comunicazione inclusiva, infatti, c’è l’idea di creare un ambiente di dialogo aperto, dove ogni persona si senta riconosciuta. Questo richiede un impegno costante nel migliorare le proprie capacità di ascolto e nell’accogliere le prospettive altrui. Parliamo quindi di un processo dinamico di educazione sulle questioni di inclusione e conseguente adeguamento delle pratiche comunicative.

Perché adottare un linguaggio inclusivo?

Il nostro modo di esprimerci e le parole che usiamo possono influenzare profondamente gli altri. Spesso, commenti apparentemente innocui possono trasmettere messaggi discriminatori o risultare offensivi per chi vive specifiche situazioni di diversità o di fragilità.

La lingua italiana, come molte altre, è ricca di asimmetrie grammaticali e semantiche che riflettono bias di genere profondamente radicati e che contribuiscono a rafforzare stereotipi e a diffondere un’idea sbagliata di subordinazione e banalizzazione del femminile.

Ecco alcuni degli esempi più comuni:

  • Dare la precedenza alla forma maschile rispetto a quella femminile (ad es. “Signori e signore”);
  • Effettuare una polarizzazione semantica, in base alla quale la stessa parola ha un’accezione positiva al maschile e dispregiativa al femminile (ad es. “cortigiano/cortigiana”, “uomo di mondo/donna di mondo”, “massaggiatore/massaggiatrice”…).
  • Ricorrere al maschile in riferimento a titoli, cariche prestigiose e professioni di alto livello (ad es. “Il Premier”, “Il Direttore d’Orchestra”, “Il Primario”…).
  • Utilizzare il “maschile sovraesteso”, ossia l’uso della forma maschile come genere “neutro” per riferirsi a gruppi misti di persone (ad es. “Gli studenti” anche se la classe è mista o “Buongiorno a tutti” anche se il gruppo di riferimento comprende anche le donne);
  • Utilizzare l’articolo determinativo davanti ai cognomi delle donne (ad es. “La Grüber” VS “Mentana”).
  • Usare aggettivi relativi stereotipati rispetto alla sfera femminile (ad es. “Isterica”).

Esercitarsi a prestare attenzione a questi aspetti e cercare di migliorare progressivamente il proprio linguaggio sono il miglior modo per adottare una comunicazione inclusiva.
Dal mio punto di vista, trovo che questo sia più importante dell’adozione di desinenze neutre come lo schwa (ə) o l’asterisco (*), cambiamenti nati per ridurre il maschile sovraesteso e promuovere una maggiore equità di genere, ma che di fatto creano difficoltà nella lettura del testo.

Come usare il linguaggio consapevolmente

Un approccio che trovo particolarmente interessante è quello di Alexa Pantanella, fondatrice di Diversity & Inclusion Speaking (organizzazione che promuove il ruolo del linguaggio come strumento d’inclusione) e autrice del saggio sul linguaggio inclusivoBen Detto”.

Si tratta della “regola delle tre I”, proposta anche in un articolo pubblicato su Think With Google, che accende l’attenzione sull’uso consapevole del linguaggio attraverso un lavoro di introspezione e di ascolto profondo.

1) INTENZIONE: prova a chiederti cosa intendi davvero dire con le tue parole e cosa stai effettivamente trasferendo con il tuo linguaggio.

“Perché, per esempio, facciamo riferimento alla provenienza geografica di una persona che lavora con noi? Aggiunge qualcosa al discorso? Oppure, i commenti che facciamo sull’età, che visione dell’essere giovane o più grande veicolano? O ancora, quella battuta sul sembrare una persona bipolare, che cosa dice della nostra conoscenza e vicinanza al tema?

2) IMPATTO: rifletti su come le tue parole potrebbero essere percepite dagli altri. Stai contribuendo a creare un ambiente accogliente o alienante?

Quanto abbiamo l’abitudine di leggere l’impatto che provoca il nostro linguaggio? Quanto siamo consapevoli delle emozioni e percezioni che generano le nostre domande, battute, gesti, ecc.? Portare la nostra attenzione su ciò che provochiamo e non solo su ciò che diciamo o scriviamo, può favorire un’attenzione a tutto tondo sul nostro linguaggio. Il cuore di una comunicazione non sta tanto in chi la emette, ma in chi la riceve, in cosa prova, in come si sente. Per cui, esercitarsi in questa forma di ascolto delle percezioni e reazioni altrui, può essere un allenamento chiave nel nostro percorso.”

3) IO: il cambiamento inizia da noi e ogni individuo può fare la differenza adottando un linguaggio più rispettoso e consapevole.

Se vogliamo che qualcosa cambi, dobbiamo iniziare da noi. Ognuno può fare la sua parte, iniziando a lavorare sul proprio linguaggio, senza aspettare che qualcuno ci dica quando e come farlo.

Linguaggio inclusivo

Il ruolo della comunicazione di brand

Per un brand, adottare una comunicazione inclusiva è importante perché i messaggi che trasmette arrivano a un pubblico ampio e diversificato. Questo significa avere l’opportunità di sensibilizzare le persone sul valore della diversità.

Oltre ad essere una scelta etica, rappresenta anche una strategia di business intelligente poiché riduce il rischio di offendere o alienare le persone, crea un terreno comune in cui tutti si sentano valorizzati e compresi, e favorisce un dialogo aperto e positivo.

I benefici della comunicazione inclusiva si rilevano anche in termini di notorietà, reputazione e percezione del brand, e contribuiscono a creare una community più partecipe e coesa, perché le persone che si sentono rappresentate da un brand sono più inclini a rimanergli fedeli e a diventare ambasciatori del marchio.

Tuttavia, le parole devono essere seguite dai fatti. Ad esempio, se un’azienda promuove un linguaggio inclusivo ma adotta politiche interne discriminatorie, rischia di perdere credibilità e fiducia. È essenziale che le azioni del brand siano coerenti con i messaggi comunicati, dimostrando un impegno autentico.

Un percorso continuo

Personalmente ritengo che la comunicazione inclusiva sia un percorso continuo di apprendimento e miglioramento, non privo di sfide o di potenziali errori.

Non esiste una formula magica o un insieme di regole rigide da seguire, la chiave sta nel mettersi in discussione, riconoscere i propri limiti e approcciarsi al linguaggio con consapevolezza e un sincero desiderio di fare la differenza, senza cadere in estremismi.

Per questo, interrogarsi sull’impatto della propria comunicazione di brand sulle altre persone è un passo così cruciale.

In qualità di solopreneur e responsabili di piccoli business possiamo essere pioniere di questa trasformazione, adottando un approccio più sensibile ed esercitando l’ascolto empatico per imparare a comprendere ed accogliere prospettive diverse.